Tuesday, March 1, 2016

HW9: La macchina protagonista in "Cent'anni di solitudine"


La macchina principale in "Cent'anni di solitudine" è la prima ad apparire, quella che determina la svolta nella psiche del protagonista.

In uno sperduto e isolato villaggio del Sud America, arrivò un gruppo di zingari. Con loro portarono una serie di marchingegni totalmente sconosciuti alla popolazione del villaggio. Il primo di questi fu la calamita ("Un zingaro corpulento [...] che si presentò col nome di Melquiades, [...] andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades.").

A capo di questo villaggio vi era uomo dal forte senso di giustizia sociale, José Arcadio Buendìa, il quale rimase come stregato da queste novità.
La macchina diventa strumento di curiosità, che stimola la mente di José Arcadio Buendìa. Egli non si limita a farsi ammaliare ma cerca in tutti i modi di sfruttare quelle scoperte per qualcos'altro ("pensò che era possibile servirsi di quella invenzione inutile per sviscerare l'oro della terra").

Alla calamita seguono il cannocchiale, gli strumenti nautici, un piccolo laboratorio di alchimia.
La macchina accende in lui la genialità. Così il cannocchiale diventa un'arma a distanza per dar fuoco a truppe nemiche ("Passava lunghe ore nella sua stanza, facendo calcoli sulle possibilità strategiche di quella sua arma inusitata, finché riuscì a comporre un manuale di stupenda chiarezza didattica e di irresistibile potere di convinzione"), Il laboratorio si trasforma in luogo di ricerca dell'uovo filosofale e, con le sue piccole conoscenze, dal suo isolato paese, capisce che la Terra è rotonda nell'incredulità generale.

Si hanno in lui manifestazioni maniacali in cui, come si è visto, la sua capacità di associare idee diverse aumenta, si esalta in modo ossessivo per le sue macchine fino a mettere a rischio la sua incolumità ("José Arcadio Buendìa non cercò nemmeno di consolarla, completamente assorto nei suoi esperimenti tattici con l'abnegazione di uno scienziato e perfino a rischio della propria vita") e il suo senso di autostima e sicurezza cresce oltre i limiti.

Ma tutto questo ha un costo, il rovescio della medaglia se vogliamo. Alle fasi maniacali si alternano fasi depressive ("Fu in quel periodo che prese l'abitudine di parlare da solo, vagando per la casa senza badare a nessuno" oppure "Quella sera Pietro Crespi lo trovò nella galleria, a piangere col piagnucolio senza grazia dei vecchi [...] per tutti quelli che poteva ricordare e che allora erano soli nella morte") che prima lo portano ad avere visioni e in seguito a perdere la cognizione del mondo reale.

La macchina è stata la causa scatenante della sindrome maniaco-depressiva di José Arcadio Buendìa ("Chi lo conosceva fin dai tempi della fondazione di Macondo, si stupiva di quanto fosse cambiato sotto l'influenza di Melquìades." o "Quello spirito di iniziativa sociale sparì in poco tempo, travolto dalla febbre della calamita, dai calcoli astronomici, dai sogni di trasmutazione e dalle ansie di conoscere le meraviglie del mondo. [...] Da intraprendente e pulito, José Arcadio Buendìa si trasformò in un uomo dall'aspetto ciondolone, trascurato nel vestire, con una barba selvatica che Ursula riusciva a regolare solo a grande fatica con un coltello da cucina.").
La macchina è curiosità, ossessione, disperazione.

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